Moderatamente https://moderatamente.net _ Sun, 12 May 2019 10:04:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 Grappein e la Casa dell’Orologio di Cogne. https://moderatamente.net/grappein-e-la-casa-dellorologio-di-cogne/ https://moderatamente.net/grappein-e-la-casa-dellorologio-di-cogne/#respond Sun, 12 May 2019 10:04:16 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1228 A Cogne anche le pietre sanno che “la Casa dell’Orologio” fu la Maison di César Emmanuel GRAPPEIN, ma ciò che esse non sanno, così come molti umani, è la destinazione che detta casa avrà ad opera del comune e della Grappein Médicin ONLUS. Circolano nel vento diversi possibili utilizzi, alcuni dei quali molto laici e... Continua a leggere »

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A Cogne anche le pietre sanno che “la Casa dell’Orologio” fu la Maison di César Emmanuel GRAPPEIN, ma ciò che esse non sanno, così come molti umani, è la destinazione che detta casa avrà ad opera del comune e della Grappein Médicin ONLUS.
Circolano nel vento diversi possibili utilizzi, alcuni dei quali molto laici e non troppo coerenti con l’importanza del sito; allora vorrei fare il tifo per una destinazione più aderente all’importanza intrinseca del sito: se la Casa dell’Orologio è di Grappein, deve continuare ad essere di Grappein e solo di Grappein.
Mi spiego. A poco più di sessantacinque anni, avendo capito l’importanza della sua opera, lo stesso Grappein ne traccia, in guisa di bilancio, una sintesi, elencando in tredici punti ciò che i compatrioti gli “devono”. A Grappein si possono attribuire molti aggettivi: riformatore, progressista, socialista utopista, illuminista, politico, statista, ecologista, economista, comunista, sindacalista … e molti altri premono all’uscio.

A me non interessa categorizzare l’opera di Grappein, a me interessa osservare con attenzione la gestione della miniera: “Il 16 maggio 1832 César Grappein invia all’Intendente del Ducato di Aosta due “regolamenti” relativi alla gestione del filone e delle strade, nei quali indica con estrema precisione mansioni, obblighi, diritti e doveri di tutti gli impiegati ai lavori pubblici e dei dipendenti comunali, frutto delle trascorse esperienze comunitarie34.” [“Il Ferro e il Buon Governo – L’utopia politica ed economica del dottor Grappein e la Valle d’Aosta ai primi dell’800” a cura di Sergio Noto (autori vari) – Musumeci Editore su promozione del Consiglio Regionale della Valle d’Aosta – pagina 143, capitolo a cura di Giorgio Vassoney.].
La nota 34 della citazione, rinvia all’Appendice 1 [ibidem pagina 327]: è sufficiente la lettura di questo testo, contestualizzandolo all’epoca, per rimanere sbalorditi ed esterrefatti. Il testo, redatto nel 1832, teorizza le “esperienzematurate e vissute tra gli anni presumibilmente dal 1815 sino al 1830, anni “della gestione comunitaria – comunistica o comunista – della miniera e delle strade” [ibidem pagina 139].

Allora mi viene spontanea una domanda: creatore geniale o epigono ? Grappein ha creato o copiato da quanto gli succedeva intorno ? Perché nella sua opera ci sono i germi di quanto sarebbe successo nella storia, nel prosieguo; pertanto dobbiamo analizzare i possibili modelli che possono averlo ispirato.
Sono successive di dieci-venti anni sia la Lega dei Giusti – organizzazione operaia clandestina tedesca, nata a Parigi nel 1936 – sia la Lega dei Comunisti (poi Internazionale Comunista), nata a Londra nel 1940; per non parlare del Manifesto del Partito Comunista, partorito tra il 1847 e il 1848 e pubblicato a Londra il 21 febbraio 1848 ad opera di Karl Marx e Friedrich Engels, o del Capitale per il cui primo libro si dovrà aspettare addirittura il 1867.

Nessuno di questi eventi può aver influenzato il dottor Grappein, come nemmeno, egli, può aver attinto dal movimento delle cooperative nato a Manchester solo nel 1844 (se si esclude un tentativo del 1833 abortito per fallimento).
Non resta che analizzare il proto-comunismo e cioè il socialismo, quel movimento di incerta data di nascita, denso di ideologie e pensieri politici inneggianti ad una migliore uguaglianza economica, sociale e giuridica dei cittadini.
Apparentemente sinonimi, quindi interscambiabili, fu ad opera di Marx ed Engels che il socialismo fu teorizzato divisibile tra utopistico (di matrice cristiana e con obbiettivi da raggiungere mediante riforme), e scientifico (di matrice atea e con obbiettivi raggiungibili solo con atti rivoluzionari), quindi, quest’ultimo, pienamente assimilabile, secondo Marx, al comunismo.

Riconoscendo in Grappein un profilo più simile al socialismo utopistico, corre l’obbligo indagare l’eventuale influenza subita, dal nostro, ad opera del pensiero di coloro che i padri del manifesto comunista riconobbero aver avuto ruolo e valore determinante e fondamentale per lo sviluppo del socialismo: Saint-Simon, Fourier, Owen; altri si misurarono sul tema ma non possono essere presi in considerazione perché nati agli inizi dell’800.
Venendo ai tre, non credo che Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon possa aver influenzato il nostro, in quanto pubblicò le sue opere tra il 1814 ed il 1824 ed il suo pensiero fu amplificato soprattutto negli anni quaranta, inoltre, considerata la lentezza divulgativa dell’epoca soprattutto con riferimento all’enclave di Cogne, difficilmente sono atterrate in paese in tempo utile.
Non credo nemmeno che Charles Fourier, coscritto di Grappein, possa aver esercitato influenza, in quanto tracce di suoi seguaci, soggiornanti a Parigi intorno agli anni trenta dell’800, fanno presumere una divulgazione del suo pensiero posteriore ai bisogni del Grappein.
Infine pure Robert Owen (di un anno più vecchio di Grappein) non può aver esercitato influenza perché iniziò ad occuparsi del tema della povertà solo dopo il 1817 e raggiunse la maturità del pensiero intorno agli anni trenta.

Bene ! Se come pare Grappein non fu influenzato dal nascente socialismo utopistico non resta che concludere che, in assenza di modelli recepiti dall’esterno, egli non fu sicuramente un epigono.
Se non fu un epigono, dove trasse l’ispirazione ? Certamente il suo pensiero era stato fecondato dall’illuminismo, dal vento rivoluzionario, dall’epopea Napoleonica, ma ciò che più gli servì è l’essere stato un creativo geniale, e mi spiego meglio.

Riesaminiamo i testi del 1832 e confrontiamo le attività di gestione con il sapere oggi richiesto ad un moderno manager per gestire il filone di Cogne; riscontriamo che servono varie conoscenze: strategia, gestione delle risorse umane, economia, amministrative, contabili, finanziarie, organizzative, commerciali, giuridiche … aggiungete ciò che ho dimenticato.
Grappein si era laureato a trentadue anni, ma in medicina. Quindi dove, come e quando ha assunto la cultura necessaria per gestire con successo ed in forma molto innovativa il filone ?

Così, poiché la cultura si impara mentre l’intelligenza no, perché non si può insegnare, non resta che concludere che Grappein abbia fatto ampio uso della propria intelligenza che unita ad una cospicua creatività, diventa genialità.
Ovvio che una personalità così acuta ed ingombrante avesse dei detrattori e non pochi; Lui stesso dice nel suo “bilancio”: “13) Ho sventato i funesti progetti dell’egoismo e della cupidigia, ho impedito il monopolio, ho allontanato le esalazioni mortali della corruzione e ho sopportato tutto ciò che producevano l’accanimento dell’odio e le nefandezze della calunnia.” [ibidem pagina 136].

Quest’uomo geniale teorizzò e praticò innovazioni ed ideologie molto prima d’altri, per cui vien da chiedersi se la sua opera non fosse stata incastonata in Cogne ma in un’area con humus divulgativo e socialmente percettivo più ampio, quale ridondanza avrebbe potuto scatenare.
Non lo sapremo mai, sappiamo invece che i suoi concittadini e non c’è da stupirsi, non ostante i forti contrasti, fecero scrivere sulla croce al centro del cimitero “A Grappein César, Docteur en médicine, … La Patrie reconnaissante”.

Questa la mia tesi: per omaggiare il concittadino geniale e non lasciare vittoriosi i suoi detrattori, la casa deve essere consacrata all’opera di Grappein ed a ciò in cui Egli ha creduto: Cogne, il suo vissuto e la sua storia nonché la miniera col suo valore socio-culturale ed economico.
Altro non si può, né si deve fare, a parer mio !
Se così non fosse, abbiano i suoi concittadini il coraggio di rimuovere dalla croce la frase “La Patrie reconnaissante”, perché la riconoscenza è imperitura.
Marco ed Elena Savio.

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Tutto è Dicotomia https://moderatamente.net/tutto-e-dicotomia/ https://moderatamente.net/tutto-e-dicotomia/#respond Thu, 20 Dec 2018 15:09:08 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1225 In un paese dove tutto è dicotomia: la politica, i compiti a casa, le vaccinazioni, la sicurezza, le pensioni, il bisogno, le vacanze, gli sbarchi, il cibo, il calcio, gli sbarchi, la Fornero, ed altre mille cose che si prestano ad una doppia lettura; in un paese dove appena si appalesa un tema, nasce subito... Continua a leggere »

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In un paese dove tutto è dicotomia: la politica, i compiti a casa, le vaccinazioni, la sicurezza, le pensioni, il bisogno, le vacanze, gli sbarchi, il cibo, il calcio, gli sbarchi, la Fornero, ed altre mille cose che si prestano ad una doppia lettura; in un paese dove appena si appalesa un tema, nasce subito il suo contrapposto, chi desidera unicamente lavorare, crescere, sviluppare per se e per altri un mondo migliore, non ne può più di questa miscela tracimante di diatribe infeconde quanto inutili.

Ogni ché visto da un lato ha una valenza che svanisce e varia se visto dal lato opposto. Se è pur giusto l’aforisma di Ennio Flaiano per cui il contrario della verità non è l’errore ma un’altra verità, è anche vero che non possiamo disperdere il tempo migliore del nostro intelletto in vane pratiche speculative.
Ieri impastando mani e matita in alcuni numeri fattoriali per un calcolo combinatorio son finito, chissà perché, in mezzo a coefficienti binomiali e di qui son scivolato sul triangolo di Tartaglia, rimanendo – attonito – affascinato dalla pulizia icastica ed ordinata di quei numeri ad albero.

Già, proprio un bell’albero di numeri, col pregio che ogni riga è palindroma, cioè se letta da un lato o dall’altro restituisce lo stesso significato.
Non sembra vero di non subire ritorte contrapposizioni dense e perenni, quanto inutili: è un gran sollievo.
Poco importa a che serva, qui, il triangolo: è utile l’albero in quanto evocativo del valore universale della vita.
Guarda i rami dell’albero e rilassati perché non ci sarà alcuno che li contrasterà.

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Lavorare ? per carità, meglio povero e vivere di elemosina. https://moderatamente.net/lavorare-carita-meglio-povero-vivere-elemosina/ https://moderatamente.net/lavorare-carita-meglio-povero-vivere-elemosina/#respond Sat, 01 Jul 2017 21:23:36 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1217 Lui vive di carità ed a modo suo è povero (ma solo a modo suo) così come a modo suo lavora ! Lo vedo dalla stanza del mio ufficio, ogni giorno. Lui tiene la posizione come neanche un politico incollato alla sua poltrona saprebbe fare meglio, perché nelle ore di punta, se deve assentarsi, fa... Continua a leggere »

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Lui vive di carità ed a modo suo è povero (ma solo a modo suo) così come a modo suo lavora ! Lo vedo dalla stanza del mio ufficio, ogni giorno.
Lui tiene la posizione come neanche un politico incollato alla sua poltrona saprebbe fare meglio, perché nelle ore di punta, se deve assentarsi, fa presidiare la postazione dal padre o dalla madre; la postazione è ove sta seduto sul gradino di una vetrina ad una quarta di bussola dall’ingresso di un Carrefour Express.
Vestito con abiti malandati, ma puliti, barba incolta, viso emaciato, impersona perfettamente il ruolo dello sventurato ridotto sul lastrico (sul lastrico c’è veramente).

Anche se l’accattonaggio non è più reato, Lui maschera comunque molto bene la sua attività: (i) ha sempre con se (tranne quando piove) una chitarra, che non ha mai suonato; (ii) nasconde meticolosamente sotto le gambe il boccale che usa per raccogliere le monetine; (iii) nulla chiede, saluta tutti con un sorriso e buona educazione: “buongiorno signora” o “buongiorno signore”; (iv) ringrazia sempre quando riceve l’obolo; (v) con taluni ha stabilito un rapporto di complicità perché si informa della loro salute o di quella di familiari.
Tutto è ricondotto a comportamenti apparentemente privi di errori; invece qualche errore lo fa: (a) ad esempio possiede il cellulare della Mela di ultima generazione; (b) ad esempio acquista il pranzo, non vicino al posto di lavoro, ma in una gastronomia a meno di 800 metri, che noi chiamiamo “la gioielleria”; (c) si fa cambiare le monetine nel Carrefour dove mendica.
È così che ho appreso, anche grazie al mio collega, che giornalmente cambia da 80 a 120 euro al giorno (per meno di otto ore di presenza), mentre sabato e domenica sale ad un intervallo da 100 a 150 euro al giorno, con la precisazione che la domenica li raccoglie in mezza giornata. Sviluppando il calcolo, emerge che la raccolta frutta da 2.600 ad oltre 3.600 euro al mese, esentasse.

Reddito di inclusione ? reddito di cittadinanza ? opportunità di lavoro ? Ma neanche per sogno: questa è la sua attività e nessuno lo schioda da quella postazione.
Non è cattolico, non credo conosca il vangelo ma ciò che è certo è che conosce molto bene le abitudini dei cattolici e conosce altresì il marketing: nella vicina chiesa, le postazioni erano già occupate, quindi ha scelto, tra i tre Carrefour, il più grande (cioè quello potenzialmente più frequentato) e guarda caso negli altri due le postazioni non sono occupate.

Bene, ma il punto non è questo. Ecco il punto: è giusto un atto di carità di questo tipo o è l’atteggiamento volto a placare la coscienza ed a far sentire il donante in pace con la sua coscienza ?
Non sarebbe meglio, forse, raccogliere le monetine in un salvadanaio e finalizzare il superiore gruzzolo al sostegno di quei poveri c.d. vergognosi (cioè che non chiedono, anche per dignità) come già li chiamavano nell’ottocento ?
Ma ancora, non dovrebbero essere quei principi di sussidiarietà dello Stato, che traspaiono dalla Carta, ad occuparsi di tali problemi ?
Dalle raccolte per finanziare la ricerca, a quella per sopperire a disastri naturali, alla assistenza ed al sostegno di casi indigenti, troppe cose sono affidate alla sensibile solidarietà dei privati cittadini: ma qual è la funzione dello stato ? ma questo è discorso che affronteremo un’altra volta.
marco savio

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La reazione del signor MIHAILOVICH ad una decisione arbitrale https://moderatamente.net/la-reazione-del-signor-mihailovich-ad-decisione-arbitrale/ https://moderatamente.net/la-reazione-del-signor-mihailovich-ad-decisione-arbitrale/#respond Sun, 07 May 2017 08:48:33 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1206 Ho visto la reazione del signor MIHAILOVICH durante la partita e l’ho visto nella querelle televisiva con Vialli e mi confermo sempre di più in due convinzioni: (a) quanto sia importante il linguaggio non verbale nella comunicazione (vale ben oltre la metà del messaggio) e (b) che ognuno è proprietario della propria educazione, ma con... Continua a leggere »

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Ho visto la reazione del signor MIHAILOVICH durante la partita e l’ho visto nella querelle televisiva con Vialli e mi confermo sempre di più in due convinzioni: (a) quanto sia importante il linguaggio non verbale nella comunicazione (vale ben oltre la metà del messaggio) e (b) che ognuno è proprietario della propria educazione, ma con un però …

Sul fatto dell’espulsione del calciatore Torinista mi pare evidente che ciò che conta è l’applicazione del Regolamento da parte del direttore di gara e non già la visione del signor MIHAILOVICH: allora andiamo a leggere il Regolamento.
La regola 12 pagina 91 de “Il Regolamento del Giuoco del Calcio” (http://www.aia-figc.it/download/regolamenti/reg_2016.pdf ) recita: “Con “vigoria sproporzionata” si intende che il calciatore eccede nell’uso della forza necessaria e mette in pericolo l’incolumità di un avversario e per questo deve essere espulso.”. Se questo è ciò che ha visto l’arbitro, non si può che accettare, non condividere forse, ma occorre accettarlo.

Ma il problema non è qui ma è nell’eccesso di reazione del signor MIHAILOVICH il quale, però, ha due attenuanti.
La prima è l’esser cresciuto in un paese in cui la cultura dominante, per oltre settant’anni, era che chi non la pensava come te era in errore: per cui normale che possa aver acquisito questo imprinting.
La seconda deriva dalla Sua natura slava che spesso conduce a delle esondazioni d’animo e di sentimento di notevole entità: qui parlo con cognizione di causa per essere figlio di madre polacca, quindi slava (ho lavorato una vita, su di me, per educare questi eccessi e ci sono riuscito).

Ora, al signor MIHAILOVICH, mi permetterei di dire due cose soltanto.
La prima è quanto mi abbia illuminato un pensiero di Ennio FLAIANO che disse: “ Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l’errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un’altra verità altrettanto valida, e l’errore un altro errore.”
La seconda è che quando si ricopre un ruolo pubblico, si è visti da milioni di persone ed i comportamenti possono essere “presi a prestito” cioè imitati nel convincimento che sia la risposta adeguata a determinate situazioni.
Il signor MIHAILOVICH avrebbe reagito così, per un presunto torto subito, di fronte ad una autorità (esempio magistrato o poliziotto) o ad una persona gerarchicamente in posizione superiore (esempio un datore di lavoro) ?

Il giuoco del calcio deve rimanere un giuoco e deve divertire: i problemi nella vita sono altri.
Marco Savio

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PROTESTARE CONTRO TRUMP, E POI ? SI FERMA IL DISAGIO ? https://moderatamente.net/protestare-trump-si-ferma-disagio/ https://moderatamente.net/protestare-trump-si-ferma-disagio/#respond Sun, 26 Feb 2017 08:32:32 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1177 L’elezione di Trump, la Brexit, l’idea di una possibile Frexit e quel disagio che porta ad altri fermenti di analogo isolazionismo e populismo, mi hanno portato ad una riflessione. Se la Presidenza Trump è figlia della protesta, se la protesta è figlia del disagio che ha annientato la classe media, se il disagio è figlio... Continua a leggere »

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L’elezione di Trump, la Brexit, l’idea di una possibile Frexit e quel disagio che porta ad altri fermenti di analogo isolazionismo e populismo, mi hanno portato ad una riflessione.
Se la Presidenza Trump è figlia della protesta, se la protesta è figlia del disagio che ha annientato la classe media, se il disagio è figlio della povertà e questa è figlia della globalizzazione e dell’immigrazione, allora dobbiamo osservare:

  • La globalizzazione poggia la sua esistenza sui differenziali dei sistemi paese (che vuol dire differenziali di welfare, di protezioni sindacali, di compliance legislativo in genere, di struttura economico finanziaria, di deficit di libertà, di regimi di polizia etc … tutti raffronti che si sintetizzano in un unicum che è il differenziale di democrazia), ma soprattutto poggia la sua capacità espansiva sull’innovazione tecnologica che ha permesso di annullare tempo e spazio;
  • L’immigrazione è la fuga da guerre e povertà, alla ricerca di una speranza di vita migliore.

In entrambi i casi la responsabilità degli scenari è fortemente riconducibile ad un deficit di governance, democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo.
Come si combattono questi due fenomeni ?

  • La globalizzazione, posto che indietro non si torna, smetterà di mietere vittime allorché saranno annullate le differenze paese: ma è un problema endogeno governabile solo dall’interno del paese (stato) che deve o vuole evoluire;
  • L’immigrazione cessa quando vengono meno le cause che spingono brandelli di umanità a fuggire: ancora un problema endogeno al paese (stato) da quale si scappa.

Combattere la “malattia” nel proprio paese con dazi, muri e provvidenze interne è dispendioso, inefficace e contro la storia: bisogna intervenite in quei paesi che ne sono la causa; ma non si può.
Non si può perché facciamo uso di un diritto internazionale pubblico difettoso, inadeguato e frutto di mere consuetudini.
Non si può perché ci fermiamo di fronte a quel principio di autodeterminazione di un popolo totem di una falsa democrazia ed icona della nostra incapacità.
Non si può perché abbiamo un organismo internazionale (l’ONU) simbolico a d’immagine ma inefficace ed inefficiente.
I protettorati hanno fallito, l’imposizione dall’alto della democrazia ha fallito: non ci resta che mettere mano ad un diritto sovrannazionale efficace ed applicabile.
Percorrere la strada di dazi e muri ci riporta indietro a quando il diritto internazionale era scritto dopo il rombo dei cannoni.
Molta, troppa strada abbiamo da fare sul tema.
Ma l’Uomo è grande, se e quando è grande il suo circolo dell’orizzonte.
marco savio

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VECCHIA E NUOVA POVERTA’ – Controparte negativa del progresso ? – 5° Post https://moderatamente.net/vecchia-e-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-5-post/ https://moderatamente.net/vecchia-e-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-5-post/#respond Sat, 18 Feb 2017 07:04:31 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1164 Segue un tentativo di analisi razionale e la raccolta di spunti per la lotta alla povertà. Il concetto di povero è divenuto espressione e dato statistico (soglia di povertà) e questa non è più misurata con la semplice capacità di sopravvivenza cioè con la soddisfazione dei bisogni del primo stadio (elementari fisiologici) della “piramide dei... Continua a leggere »

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Segue un tentativo di analisi razionale e la raccolta di spunti per la lotta alla povertà.
Il concetto di povero è divenuto espressione e dato statistico (soglia di povertà) e questa non è più misurata con la semplice capacità di sopravvivenza cioè con la soddisfazione dei bisogni del primo stadio (elementari fisiologici) della “piramide dei bisogni”, teorizzata nel 1954 dallo psicologo statunitense Abraham H. Maslow, in quanto è necessario anche il concorso, in parte, del secondo e del terzo (salvezza e appartenenza).

Per rendersi conto dell’assunto basta porre a confronto il paniere odierno di beni e servizi (utilizzati per le rilevazioni inflattive e attestanti i consumi primari e più diffusi) con quello di cinquant’anni prima e ci rende conto delle differenze nei consumi.
Ciò significa che povero non è più solo un soggetto privo o privato di mezzi materiali ma anche una persona con limitata istruzione, grado sociale, cultura: orbene, se il lavoro è affrancamento dal bisogno, la disoccupazione diviene indicatore di bisogno e qui si scopre che istruzione e disoccupazione hanno, per lo più, polarità inverse.

L’analisi del povero va condotta non più per città o per nazioni ma deve essere affrontata a livello planetario, complice la globalizzazione, perché il principale dei frutti dell’albero della povertà è l’emigrazione che può costituire di gran lunga la madre di tutti i problemi.
Se da un lato esiste un diritto naturale ed universale dell’uomo alla mobilità, dall’altro vi possono essere limiti fisiologici non superabili: si provi ad immaginare se tutto il popolo cinese emigrasse nel Liechtenstein: impossibile perché ogni cinese avrebbe a disposizione 0,12 metri quadrati, come dire che su un metro quadro di territorio dovrebbero risiedere 8,46 cinesi.

È necessario, poi, introdurre nello scenario da analizzare altri attori o fattori, oltre alla povertà delle persone, quali: (i) le disuguaglianze ordinamentali, economiche, culturali di vaste aree del pianeta; (ii) gli Stati poveri; (iii) l’ordinamento internazionale; (iv) le multinazionali ed il loro strapotere; (v) l’elemento strategico; (vi) il livello di sviluppo di varie aree geografiche; (vii) l’alfabetizzazione, la conoscenza, la cultura.

(i) diseguaglianze
I gradienti degli ordinamenti del Diritto Positivo in ambito giuslavoristico, fiscale ed economico favoriscono, con l’alibi della logistica e del mercato, la migrazione delle imprese. È il principio della globalizzazione che opera per differenziali e sarà attivo sino a quando non vi sarà omogeneità. Chi risiede in queste aree è potenzialmente povero.

(ii) Stati Poveri
La povertà di uno stato non è riconducibile ai solo aspetti economici e di instaurazione di politiche economiche di sviluppo, ma afferisce anche ai deficit di democrazia e libertà, alla capacità di coesistenza che va dalla inadeguatezza in politica estera sino al perenne stato di belligeranza, al disinteresse per il cittadino o suddito. Il cittadino di questo stato povero non può che essere povero.

(iii) Ordinamento Internazionale
È certamente l’ostacolo più severo sulla strada dell’allineamento degli stati poveri agli stati con sistemi giuridico-economici evoluti; la norma di diritto internazionale che sancisce il principio di autodeterminazione dei popoli di fatto non consente di intervenire nei confronti di uno stato per rimuovere le cause primarie della povertà e scongiurare l’emigrazione in massa delle persone: parimenti non esiste un organo sovrannazionale (escludiamo pure l’ONU, organismo inefficiente) di polizia o giurisdizionale che abbia facoltà di sedare i belligeranti, di ingiungere il ripristino della democrazia, di imporre le best practice nel governo dell’economia nazionale. L’esistenza di una possibilità o una misura coercitiva sarebbe utile perché il vero antidoto contro l’emigrazione selvaggia è l’intervento nei paesi d’origine volto a eradicare le cause primitive dell’emigrazione.

(iv) Multinazionali
Sono organismi sovrannazionali in grado di eligere la loro Business Place secondo la propria convenienza, in grado di subornare governi deboli ed in grado di portare o sottrarre opportunità o ricchezza ad un paese; con ciò non sono lo “sterco del diavolo” ma se non sono dotate di un codice etico efficace, possono essere veramente pericolose a prescindere dalla levatura ed importanza degli stakeholder che sono loro intorno. Oggi non esiste alcun organo, sovrannazionale, di controllo; forse si può solo dire che sono soggette ad un self-control indiretto nella misura in cui devono porre in essere politiche tali da garantire equilibrio ed esistenza in vita per un periodo di tempo indefinito: come dire che sono soggette alla sola lex mercatoria.

(v) Elemento Strategico
L’elemento strategico è quello “prezioso” la cui limitazione o mancanza rallenta o blocca lo sviluppo. Molti, apparentemente, potrebbero essere ritenuti strategici, ma da duecento anni è identificabile con l’energia: prima nera come il carbone (nell’ottocento) poi nera come il petrolio (nel novecento) ed ora nel XXI secolo nera come il silicio (o bianca come la silice, se si preferisce) inteso non nel senso energetico ma di comburente informatico, perché nel futuro l’energia strategica sarà la tecnologia digitale. Sarà povero chi non possiede tecnologia digitale.

(vi) Livello di Sviluppo
Il deficit di sviluppo di alcune aree del pianeta prima di essere un’opportunità per i paesi c.d. ricchi (che però si arricchiscono sempre più a danno di quelli poveri) è uno svantaggio per il pianeta in quanto l’asincronia di talune aree, in un’economia globalizzata, rallenta il sistema e la velocità di un convoglio è misurata sul vagone più lento. Tale deficit non si rileva solo nel grado di sviluppo socio-economico e giuridico del paese ma anche dal grado di indipendenza e di applicazione delle tecnologie digitali. Chi risiede in queste aree ha elevate probabilità di essere povero.

(vii) Alfabetizzazione
Tutte le società oggi avanzate sono passate attraverso la lotta all’analfabetismo per poi assumere varie battaglie per l’istruzione prima e per l’innalzamento, poi, degli indici di scolarità e istruzione universitaria. In questi percorsi (di generazioni) si forma un sedime di conoscenza (c.d. know-how) e di cultura. Oggi occorre, non solo, presidiare i livelli raggiunti (imprescindibile perché la massa del sapere raddoppia ogni cinque anni circa: come dire che un ciclo universitario si svaluta del 50% in cinque anni) ma soprattutto investire in ricerca perché il possesso delle tecnologie è indice di ricchezza ed affrancamento da terze economie. Oggi il nuovo povero è l’analfabeta digitale.

Conclusioni
Sin qui il passato ed il presente della povertà, ma restano inevase alcune (troppe) domande alle quali sarebbe utile che un laboratorio di “maître à penser” dia risposte nel presupposto speculativo che tutto ciò che oggi si fa, non è adeguato.

Ecco un possibile terreno di confronto:

  • Qual è la nuova e complessiva definizione di povero ?
  • Quale consiglio dare, al singolo, per fuggire la povertà ?
  • Quale ammonimento alla collettività che produce poveri ?
  • Quali istituzioni devono essere deputate a contrastare il fenomeno ?
  • Quali azioni intraprendere per impedire sul nascere la formazione del fenomeno ?
  • Quali attività sono auspicabili a livello internazionale ?
  • Quali attività è utile porre in essere per lenire le problematiche quotidiane ?

Ce n’è lavoro da fare !
marco savio

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VECCHIA E NUOVA POVERTA’ – Controparte negativa del progresso ? – 4° Post https://moderatamente.net/vecchia-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-4-post/ https://moderatamente.net/vecchia-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-4-post/#respond Sat, 18 Feb 2017 05:05:33 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1159   L’elaborazione di una trasfigurazione dal povero ad uno Stato Sociale (che dovrebbe costituire la risposta sistematica della lotta alla povertà) avviene attraverso il proletariato. I poveri costituivano, ancora per buona parte dell’ottocento, la classe più numerosa della società, una classe silenziosa perché non era soggetto sociale, priva di coscienza di classe e quindi incline... Continua a leggere »

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L’elaborazione di una trasfigurazione dal povero ad uno Stato Sociale (che dovrebbe costituire la risposta sistematica della lotta alla povertà) avviene attraverso il proletariato.

I poveri costituivano, ancora per buona parte dell’ottocento, la classe più numerosa della società, una classe silenziosa perché non era soggetto sociale, priva di coscienza di classe e quindi incline a subire, senza alcun anelito di rivolta: una classe priva di risorse e di diritti, che dipende dal proprio lavoro per la sussistenza.

Per tutto il periodo assistiamo, a sostegno di tali classi, allo sviluppo delle attività dei “preti sociali” molto attivi nell’Italia dell’ottocento, al proliferare di istituzioni private caritatevoli in maggioranza di formazione cattolica (qualcuna laica) e dopo il 1848, con la progressiva abolizione delle monarchie assolute, all’intervento dello Stato, inizialmente timido; non dimentichiamo che si votava per censo (il corpo elettorale era circa il 2% della popolazione nel 1870 e salì al 6,8% nel 1895 non ostante la misura repressiva di Crispi).

Alla fine dell’ottocento rileviamo però l’esistenza di un vasto proletariato urbano e rurale dotato di notevole coscienza di classe, con i problemi endemici tipici della povertà, ma con spiccata attitudine organizzativa (l’importazione dell’istituto inglese delle cooperative, la nascita e l’affermazione delle società di mutuo soccorso, prodromi del futuro stato sociale).

La classe dei poveri si è traghettata nel proletariato ? mancano al riguardo studi specifici; servirebbero perché i poveri sono persone assillate da problemi di consumo mentre i proletari sono una concezione di formazione e derivazione capitalistica.
Il povero si è così trovato ad un bivio con due direzioni antitetiche: la carità delle istituzioni per lo più cattoliche o l’occupazione nell’industria.
È indubbio che il regime capitalistico, in Italia, sia stato agevolato dalla presenza di quell’enorme esercito “di braccia di riserva” (poco organizzate, bisognose, inclini ad accettare ogni imposizione) che ne ha favorito lo sviluppo (anche se, per contraltare, ne ha ritardato la meccanizzazione e quindi l’innovazione).

A ridurre ulteriormente lo smisurato serbatoio di risorse umane (per l’industria capitalistica) fu l’emigrazione, fenomeno non solo interno ma anche internazionale prima e poi intercontinentale, apparso come temporaneo e, nella seconda metà del secolo, sempre più intenso; tale fenomeno era indotto anche dall’industria stessa nella misura in cui, questa, non produceva occupazione stabile e regolare ma solamente occasionale ed intermittente.

Fino a che non è aggregato ed è silente, che si chiami povero o proletario nulla cambia.
Ma se il lavoro salariale è imposto unilateralmente, in forma di sfruttamento, se le condizioni di lavoro sono inumane, se gruppi di persone cominciano ad unirsi per sopperire a bisogni primari (alloggio) si sviluppa una ostilità collettiva verso la fabbrica che conduce ad un processo di aggregazione ed alla formazione di una coscienza di classe; il proletario diviene soggetto sociale: la strada per l’organizzazione sindacale è aperta, le società di mutuo soccorso, con la loro mutualità per i soci, costituiscono traccia primitiva della futura previdenza sociale.

Il novecento pur tra guerre e contraddizioni completa i processi dell’ottocento e partorisce nuove pietre miliari come la dichiarazione universale dei diritti umani (firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, non fu la prima a trattare l’argomento), ed in Italia, la Costituzione che porta oltre alla Democrazia, gli articoli 1, 3, 32, 35, 36, 38 e 41: luce moderna sul mondo del lavoro. Non c’è Democrazia se non c’è Libertà; ma non basta: perché l’uomo senza Dignità, non è Uomo Libero e per avere Dignità occorre godere di indipendenza economica e cioè poter aspirare a quella “retribuzione proporzionata” che assicuri “una esistenza libera e dignitosa” (articolo 36 della Costituzione).
Quindi se non c’è Lavoro, non c’è Dignità, se non c’è Dignità non c’è Libertà, se non c’è Libertà non c’è Democrazia. Per la proprietà transitiva: se non c’è Lavoro non c’è Democrazia. Si è così tornati all’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”.

Poiché in altre parti: si progetta, nella Costituzione, di rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “l’eguaglianza dei cittadini” e “impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (articolo 3); si “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo” (articolo 32); si “tutela il lavoro in tutte le sua forme” (articolo 35); si prevede che “ogni cittadino inabile al lavoro … ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” (articolo 38); si conferma che “L’iniziativa economica privata è libera.” (articolo 41).
Sarebbe il caso di dire: la dichiarazione di guerra alla povertà, è stata consegnata !

Oggi i paesi occidentali, ad economia avanzata, sono tutti dotati di uno Stato Sociale (Welfare), più o meno garantista, ma lo Stato Sociale non basta, il problema della povertà non è debellato e continua ad esistere, ad adiuvandum, un insieme di organizzazioni più o meno laiche che è definito “terzo settore” e si regge principalmente sul volontariato e su meccanismi di solidarietà finanziaria; l’esistenza stessa di queste organizzazioni se da un lato rappresenta l’espressione dei sentimenti di solidarietà di un popolo, dall’altro è palesemente conclamante l’inadeguatezza dello stato nella soluzione del problema povertà.
(continua)
marco savio

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VECCHIA E NUOVA POVERTA’ – Controparte negativa del progresso ? – 3° Post https://moderatamente.net/vecchia-e-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-3-post/ https://moderatamente.net/vecchia-e-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-3-post/#respond Sat, 18 Feb 2017 04:37:03 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1155 Non solo malattia, morte, nascite, cattivo raccolto inducevano alla povertà in quanto rovesciavano fragili equilibri di indipendenza economica, ma anche altre condizioni strutturali, quali: (i) il mutato rapporto tra città e campagna; (ii) il declino delle prime sulla seconda; (iii) la nuova primazia della forza lavoro rurale; (iv) l’incapacità delle corporazioni di proteggere completamente i... Continua a leggere »

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Non solo malattia, morte, nascite, cattivo raccolto inducevano alla povertà in quanto rovesciavano fragili equilibri di indipendenza economica, ma anche altre condizioni strutturali, quali: (i) il mutato rapporto tra città e campagna; (ii) il declino delle prime sulla seconda; (iii) la nuova primazia della forza lavoro rurale; (iv) l’incapacità delle corporazioni di proteggere completamente i propri adepti (garantendo occupazione piena); (v) nonché l’incapacità di sostenere e contrastare la concorrenza delle grandi città europee.

Cartine di tornasole dei mutamenti economici sono il cambiamento delle abitudini alimentari, la riduzione del consumo di carne e il popolo minuto che va calando.

L’ingresso, quindi, nella categoria dei poveri poteva avere cause diverse e plurime non solo determinate dalla crisi; infatti l’assenza di una capacità di accumulo ossia di risparmio, tale da consentire il superamento della crisi al suo manifestarsi, causava per conseguenza l’assunzione di debiti che costituivano al tempo stesso sintomo e causa di povertà.

Prima di procedere ulteriormente, è meglio ricapitolare quanto sin qui esposto e si propone (esclusi i poveri endemici e strutturali) questa sintesi, in visione sociale: i poveri sono lo spazio sociale di coloro che erano definiti popolo minuto, soggetti ad una precarietà ed insicurezza di vita che erano fisiologiche nell’economia pre-industriale.
Mentre la visione della classe dominante è affidata al filosofo e giurista inglese, Jeremy Bentham, propugnatore dell’utilitarismo, che definì, nel 1796, “la povertà è la condizione di tutti quelli che per avere una sussistenza sono costretti a ricorrere al lavoro. L’indigenza è la condizione di colui che, essendo privo di proprietà, … è nello stesso tempo o inabile al lavoro o inabile anche per il lavoro a procurarsi i beni dei quali egli ha necessità.”

Intanto si fanno strada (i) la necessità di separare il concetto generalista di povertà (meramente intellettuale ed ideologico) da quello della povertà quale stato reale e materiale che, nel tempo, va considerato in rapporto alle strutture economiche e (ii) l’esigenza di semplificare le categorie di povertà che vengono ricondotte a due: meritevoli e non meritevoli; perché veniva tracciata una linea più netta di demarcazione tra coloro che avevano titolo all’assistenza ed al godimento di certi diritti e coloro che non avevano titolo.

I poveri meritevoli (in cui confluirono i vergognosi) dovevano ricevere assistenza discretamente, a casa, sotto forma di denaro, alimenti, vestiario, biancheria, aiuto sanitario; a questi occorreva però un certificato del parroco, a conferma della loro residenza, perché cruciale diveniva la distinzione tra originari e forestieri.

I poveri non meritevoli (mendicanti, vagabondi fisicamente abili, prostitute, anziani, infermi etc …) venivano reclusi in “alberghi dei poveri” (attivi sin dal seicento), conosciuti, in era napoleonica, come Dépôts de mendicité (scomparvero con il crollo del regime napoleonico) e concepiti come prigioni ed opifici; le giustificazioni erano (i) la necessità di prevenire il contagio di epidemie, (ii) l’intolleranza per la molestia dei mendicanti, (iii) l’indignazione morale.

La disoccupazione finisce per acquisire connotato di colpa ed è trattata con la medesima indignazione di chi rinunzia al lavoro per l’ozio; perché la fede illuministica esalta il progresso e focalizza il lavoro come strumento di redenzione; il concetto di carità viene capovolto: la carità non riflette la ricchezza di uno stato; è la causa della povertà.
(continua)
marco savio

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VECCHIA E NUOVA POVERTA’ – Controparte negativa del progresso ? – 2° Post https://moderatamente.net/vecchia-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-2-post/ https://moderatamente.net/vecchia-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-2-post/#respond Sat, 18 Feb 2017 04:12:52 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1153 Il Vagabondaggio (versione arcaica della migrazione) è al tempo stesso causa e risposta dello stato di povertà, ma è anche lo stato tipico, all’epoca, della migrazione (dunque, nulla di nuovo sotto il sole). Diverse sono le cause: (i) l’inurbarsi, per panico, dei poveri di campagna in città a causa delle carestie; (ii) le migrazioni occasionali... Continua a leggere »

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Il Vagabondaggio (versione arcaica della migrazione) è al tempo stesso causa e risposta dello stato di povertà, ma è anche lo stato tipico, all’epoca, della migrazione (dunque, nulla di nuovo sotto il sole).

Diverse sono le cause: (i) l’inurbarsi, per panico, dei poveri di campagna in città a causa delle carestie; (ii) le migrazioni occasionali e temporanee (esempio i montanari) in cerca di lavoro (la pratica per costoro derivava dalla necessità di non dissipare i risparmi in cibo ed alloggio, nei trasferimenti); (iii) i soldati mercenari congedati, o divenuti inabili al servizio.

L’interesse delle città era quello di distinguere questi dai c.d. “professionisti”; ma vi erano altre figure, minori, che rappresentavano, anch’esse, causa e risposta dello stato di povertà: sono le prostitute ed i piccoli delinquenti; per i quali l’alternativa a segregazione o carcere (la loro ghettizzazione era utile per la pulizia morale e sanitaria della città) era solitamente l’espulsione e così finivano per ingrossare l’esercito dei vagabondi.

Le città (o meglio i governi delle città) assunsero comportamenti diversi di fronte al problema del vagabondaggio (migrazione): (i) alcune la utilizzarono per sanare il deficit di lavoro in determinati settori (ad esempio, quando il governatore spagnolo, nel 1646, volle espellere per sicurezza i sudditi del Duca di Savoia, Milano insorse nel timore che si sarebbero fermate tutte le attività edili se private del lavoro dei piemontesi), oppure con l’utilizzo del lavoro coatto come nel caso degli imbarchi forzati (pratica veneziana in uso dal 1529 in poi); (ii) altre vietarono l’accesso in città nel corso delle crisi (Venezia promulgò leggi contro l’immigrazione di poveri); (iii) altre accettarono di occuparsi dei poveri come attività naturale (ad esempio l’istituto della Misericordia di Bergamo); (iv) altre concedevano una licenza limitata (ad esempio tre giorni) per la questua (poi, il “foglio di via”).

La risposta degli “espulsi” fu spesso l’associazionismo ovvero la formazione di vere e proprie bande di mendicanti, storpi, delinquenti con finalità di ogni tipo, mai lecite (da qui il termine Bandito nel senso di espulso dalla società).

Vagabondi e mendicanti non sono lo stesso soggetto sociale.
I vagabondi sono generalmente migranti e quindi nomadi anche se talvolta praticano il mendacio, i mendicanti sono per lo più stanziali (Carlo Borromeo impone ai suoi parroci di registrare i mendicanti, verificando il loro grado di osservanza della religione; in caso negativo dovevano impedire loro di mendicare; a Roma, nel seicento, vigeva saldo il principio per cui non si poteva godere del “pane della carità” se non si era istruiti nella dottrina cristiana).

Non esiste una concezione laica ed istituzionalizzata per trattare il problema (oggi diremmo welfare) ma vi è una indubbia consapevolezza del valore sociale della povertà: Brian Pullan sostiene (Venezia, 1553, Scuola Grande di S. Marco) che non vi è un problema di povertà, ma vi sono problemi di mendicità, di vagabondaggio, di questua fraudolenta (Storia d’Italia, Annali). L’argomento è unicamente affrontato con beneficienza caritatevole che è sentimento di derivazione cristiana: è di nuovo Brian Pullan ad affermare che “La carità e in particolare la carità della Chiesa cattolica è stata spesso accusata di aver creato il povero che poi manteneva.”

Tra i poveri Indigenti vi è una categoria elitaria, introdotta nel seicento, dei poveri Vergognosi al cui interno si distingueva un ulteriore gruppo ristretto delle “povere persone scadute, ancor che nobili o titolati” (ai nobili decaduti di Venezia era consentito mendicare con il volto coperto) Le prime hanno conosciuto tempi migliori per cui avevano diritto ad un trattamento riguardo al rango ed al fatto che non arrecavano disturbo cioè non mendicavano apertamente. Vergognosi e Scaduti sono sottogruppi dei poveri Indigenti e si connotano solo per il ceto di provenienza.
(continua)
marco savio

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VECCHIA E NUOVA POVERTA’ – Controparte negativa del progresso ? – 1° Post https://moderatamente.net/vecchia-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-1-post/ https://moderatamente.net/vecchia-nuova-poverta-controparte-negativa-del-progresso-1-post/#respond Thu, 16 Feb 2017 22:48:47 +0000 http://www.moderatamente.net/?p=1149 Affrontare il problema povertà oggi, implica prioritariamente vederne la mutazione nei secoli e conseguentemente definirla; impresa non semplice (i) e perché il concetto si è modificato nei secoli, (ii) e perché esistono due tassonomie: una della classe dirigente e l’altra dei poveri stessi.   L’analisi dell’argomento dell’argomento è più semplice dalla visione delle classi dominanti anche perché quella coniata... Continua a leggere »

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Affrontare il problema povertà oggi, implica prioritariamente vederne la mutazione nei secoli e conseguentemente definirla; impresa non semplice (i) e perché il concetto si è modificato nei secoli, (ii) e perché esistono due tassonomie: una della classe dirigente e l’altra dei poveri stessi.  
L’analisi dell’argomento dell’argomento è più semplice dalla visione delle classi dominanti anche perché quella coniata dai poveri stessi, è difficile rinvenire in quanto i poveri appartengono ad una classe che non lascia tracce di sé.

“La plebaglia, che ha come scopo supremo il pane”.
È così che Sir Henry WOTTON, Ambasciatore inglese a Venezia all’inizio del XVII secolo, definì i poveri.
Nel trecento il concetto di povero era applicato a chi difettava dei beni fondamentali per l’esistenza nonché a coloro che, in condizioni di privazione ed insicurezza, mancavano di mezzi per mantenere un livello di vita adeguato; questi poveri erano associati a concetti di classi docili (non inclini a ribellarsi) e di “popolo minuto”.
Quindi è povero non solo chi non ha beni per autosostenersi ma anche colui che ha un’occupazione poco remunerata e irregolare per cui non è in grado di attendere a se stesso (povertà associata ai concetti di ricchezza patrimoniale e flussi reddituali); questa categoria, due secoli dopo, sarà definita dei “miserabili”.

La necessità di “categorizzare” i poveri nasce dal diffondersi, in talune città, di una carità organizzata e istituzionalizzata. A Bologna, nel 1548, le autorità li definiscono in: “mendicanti, vergognosi, ospitalieri e religiosi”, per questi ultimi si tratta dei poveri in Cristo: ad esempio i Francescani.
Nell’Italia settentrionale viene così ad affermarsi, nel cinquecento, un concetto di povertà indissolubilmente legato a quello di carità; così si possono illustrare tre categorie:

  • Impotenti, cioè i poveri strutturali o mendicanti full time o persone perpetuamente assistite (ad esempio: trovatelli, ciechi, invalidi, malati incurabili, anziani, vedove, pellegrini etc …); si ipotizza che questa categoria fosse compresa tra il 4% e l’8% della popolazione. I pellegrini, circondati da un’aureola di religiosità, pretendevano una “ospitalità gratuita”, da società sempre più sospettose verso i falsi pii, per cui il Gran Ducato di Toscana li bandì nel 1764; in certi anni giubilari i pellegrini che giungevano a Roma potevano ascendere il mezzo milione di persone;
  • Indigenti, o poveri della crisi, cioè i poveri per i quali il contributo di carità è un occasionale integratore del magro salario o lavoro discontinuo (ad esempio: salariati giornalieri, prostitute, vagabondi, saltimbanchi etc …); categoria che si ipotizza al 20% della popolazione; mentre altri studiosi, per altre città, ipotizzano che la percentuale (per le prime due categorie) possa arrivare al 45% – 50%;
  • Infine i Candidabili , cioè tutte quella classi di artigiani, piccoli commercianti, salariati che sono border line in quanto non sarebbero in grado di sopportare un arresto prolungato della propria attività; tale categoria è stimata tra il 50% ed il 70% della popolazione.

La prima categoria è alimentata dai fatti della vita (endogeni e casuali per l’individuo che li patisce), mentre la seconda ha un bacino di notevole entità, derivante dalla terza categoria, ed è alimentata da cause esogene, appunto “di crisi”.

Tra le cause di crisi più diffuse: le epidemie (lebbra, peste, tifo etc …), le carestie, le guerre, un governo inadeguato. La carestia, ad esempio tra il 1375 ed il 1791, a Firenze sembra abbia colpito 111 volte (cioè 111 anni su 416 anni) equivale ad una incidenza del 27%.
(continua)
marco savio

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